Dj Fabo, Welby, Eluana: sono casi di eutanasia?

Piergiorgio-Welby

BY VIVIAN COLOMBO

In Italia il tema del “diritto di morire” continua a far discutere e a dividere l’opinione pubblica.

Ci si interroga se l’uomo ha la libertà di decidere, oltre che come vivere, anche e soprattutto come morire. Ci si chiede se l’uomo ha diritto di scegliere di morire per evitare sofferenze intollerabili.

Ma cosa significa la parola “eutanasia che ormai sembra entrata nelle conversazioni comuni?

Eutanasia significa procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica”.

E questo a detta di medici esperti contattati sarebbe attuato con la somministrazione di farmaci.

Si tratta quindi di sopprimere una vita così come avviene per gli animali.

Infatti, in medicina veterinaria, la “dolce morte viene considerata come l’uccisione indolore di un animale affetto da una malattia grave, incurabile e che provoca dolore.

Ed è proprio qui che sta la differenza tra l’eutanasia (soppressione) e il diritto di morire naturalmente senza alcun tipo di accanimento terapeutico.

Alla luce di queste definizioni occorre quindi chiedersi: che cosa è avvenuto nel caso di Eluana Englaro, Piergiorgio Welby e dj Fabo? In tutti questi casi è stata soppressa una vita umana? C’è stata eutanasia? Sono stati quindi somministrati farmaci per interrompere una vita umana?

Eluana Englaro era una donna italiana morta il 9 Febbraio 2009. In seguito ad un incidente stradale ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni, fino alla morte naturale per disidratazione avvenuta a seguito dell’interruzione della nutrizione artificiale. 

Piergiorgio Welby il 20 Dicembre 2006 decise di mettere fine alla propria malattia debilitante che lo colpì costringendolo a vivere attaccato a delle macchine e fermo in un letto, pienamente cosciente. Scelse di morire con l’aiuto del suo anestesista Mario Riccio che staccò il suo respiratore.

E Dj Fabo morto in Svizzera il 27 Febbraio 2017. Decise di staccare il ventilatore che gli consentiva di respirare e parlare. Il 13 Giugno 2014 in seguito ad un grave incidente era diventato cieco e tetraplegico. Viveva immobilizzato a letto e oltre al ventilatore aveva un sondino che lo alimentava direttamente nello stomaco.

In tutti questi casi hanno scelto di accettare la morte come processo naturale senza necessariamente rimanere in vita attaccati a delle macchine, unica fonte di sopravvivenza.

In tutti questi casi non sono stati somministrati farmaci letali.

In tutti questi casi non c’è stata eutanasia.

Ma la Legge Italiana come si pronuncia a riguardo?

In Italia manca una Legge che determini l’anticipazione del termine di tutte le misure eccezionali poste in essere per la sopravvivenza del paziente. In Italia, pertanto, non è possibile staccare le macchine che tengono in vita un malato terminale, non è possibile rimuovere anticipatamente tutti quei sistemi “eccezionali” di sopravvivenza. In Italia non è possibile decidere volontariamente se avvalersi o meno di tali strumenti fino al termine della vita. Chiaro è che la linea di demarcazione in molti casi è davvero sottile e diventa difficile capire quando incomincia l’accanimento terapeutico. Ecco forse il motivo per il quale non vi è ancora in Italia una vera e propria legge che in certi casi potrebbe causare più danni che altro. Le leggi infatti non sempre sono sinonimo di verità assolute ma quando poi quella tale cosa viene normata ciascuno ha l’obbligo o meglio il dovere di rispettarla.

E’ giusto immedesimarsi in chi soffre.

La paura maggiore è la paura della sofferenza. Ciò che fa più paura non è tanto il dover accettare una malattia grave e terminale ma il dolore che essa provoca.

Certo la medicina offre cure palliative e la sedazione terminale all’ultimo stadio ma talvolta tutto questo sembra non essere sufficiente e il paziente chiede disperatamente di interrompere quelli che in alcuni casi possono risultare come accanimento terapeutico attraverso la rimozione di strumenti “eccezionali” per la sopravvivenza. Il paziente chiede disperatamente che si interrompano tutti quegli atti medici volti a tener in vita la persona a tutti i costi e a qualsiasi condizione anche quando ormai la medicina non può più far nulla.

E’ vero, si è sempre speranzosi, ci si aspetta sempre un miracolo e può anche accadere in certi casi ma bisogna anche riuscire ad accettare la morte come un processo naturale della vita. Dobbiamo riuscire ad accettare di lasciar andare un nostro caro che in un modo o nell’altro sarà sempre con noi, in altre vesti non ci abbandonerà mai. Ma in questa vita terrena ha finito il suo corso.

Nessuno può capire il dolore di quel momento, la sofferenza fino a quando non la prova sulla propria pelle.

Ecco perché bisogna sempre fare molta attenzione a non giudicare, condannare, generalizzare ma considerare invece caso per caso, pregare per la famiglia, rispettare il dolore e la privacy.

Il paziente molte volte chiede solo di poter morire naturalmente. Il paziente chiede disperatamente di essere accompagnato alla morte come qualcosa di assolutamente normale nel ciclo della vita dell’uomo.

Questo non significa “eutanasia” cioè sopprimere una vita umana attraverso farmaci letali ma permettere all’uomo di accettare la morte, accettare il limite della medicina che non può garantire l’immortalità. Questo non significa riconoscere l’ “eutanasia” perché in questi casi i pazienti muoiono di morte naturale rifiutando strumenti “eccezionali” di sopravvivenza che non sono posti in essere per guarire il paziente e rimuovere definitivamente la malattia ma unicamente per allungare la vita per quanto sia possibile. Il malato in questi casi infatti chiede di poter vivere la malattia e arrivare alla morte in modo naturale.

Ma cosa sono le cure palliative e la sedazione terminale?

Le cure palliative secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che non risponde più ai trattamenti specifici e la cui diretta evoluzione è la morte.

Nella lingua italiana il termine “palliativo” significa infatti una cura che non agisce sulla causa della malattia ma sul cercare di eliminare il dolore o, se questo non è possibile, di controllare il dolore.

L’obiettivo principale delle cure palliative è tutelare e garantire la dignità del malato fino alla fine cercando di alleviare il dolore. Il malato, infatti, prima di tutto è un uomo e in quanto tale deve essere rispettato fino alla fine.

Queste cure vengono effettuate ambulatorialmente e sono coperte dal Servizio Sanitario Nazionale.

Diversa per certi aspetti è la sedazione terminale.

Alcuni medici la definiscono “sedazione dell’agonia” per evitare che possa essere interpretata come sedazione che porta alla morte del paziente.

Secondo la Guida di pratica clinica sulle cure palliative del Sistema Sanitario Nazionale “l’obiettivo della sedazione terminale è l’alleviamento della sofferenza del malato mediante una riduzione proporzionata del livello di coscienza”.

Si ricorre a questo tipo di sedazione su pazienti in agonia quando hanno sofferenze intollerabili, come il dolore intenso, dispnea, delirio e non hanno risposto ad altri trattamenti. Ma occorre precisare che non è mai volta a provocare la morte del paziente o a precipitarla, ma unicamente ad alleviare la sua sofferenza.

Ecco perché è doveroso collocare queste cure palliative e la sedazione terminale in un contesto diverso dell’eutanasia e suicidio assistito. Nel primo caso si tratta di alleviare il dolore. Nel secondo caso si parla di sopprimere una vita umana con farmaci letali.


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Posted on 27/03/2017 in State Of Play

Written by Samuel Colombo

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